Il lenzuolo

Passi di occhi sfregati nel fango
esigono lenzuola su cui adagiarsi,
riposare e ripulirsi da sogni neri
fatti a palpebre legate a estremità
d’un’antenna colante sorrisi troppo,
troppo perfetti per essere veri.
Troppo bello sarebbe svegliarsi
su libri di storia ancora da scriversi
ma con un nuovo diritto del cuore:
che possa battere allo stesso ritmo
del proprio vicino. Vicino
al fiume abbiamo strappato
vestiti a manichini ingrati,
ce li siamo avvinghiati al petto,
e nudi insieme, nell’acqua ora
balliamo fino all’ultimo respiro.
Balliamo e le zolle di terra saltano,
fiammeggiano, e salpano dai nostri polsi
globuli rossi a distribuirsi in cielo;
finirà per piovere vin santo,
l’ebbrezza ci consolerà dal peso
siderale di questa stellare gioia.
Gioia mi dai, mia dolce troia,
perché hai pulsanti labbra stasera
per avvolgermi come baco da seta
sospeso al di sopra del mare di parole,
interpretazioni di parole e vortici,
ma la muta belva è a trasmettere
amore, e lo definisco amore
il cuore di un bimbo nato prematuro,
cuore immenso che dal torace fuoriesce
e vuole esplodere, ed esploderà
in ogni direzione, e tutti i bimbi,
tutta la prematura umanità salverà,
l’umanità che a mani vuote, alzate,
stenderà sottovento il lenzuolo bianco
sfiorante ogni angolo riempito di bianco
dallo spazio espanso a perdersi nel bianco
di un sonno profondo intravisto dall’alto.


Parma, 24 dicembre 2004
Ispirato in sottofondo, dall’ascolto
dell’album "ANIME SALVE"
di Fabrizio De Andrè

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