Pupi tremanti e violenti

Il fondale salato, implacabile stringeva dai piedi all'ombelico tanto che la smorfia sembrava sorriso, invece era ghigno.
Un ghigno che rimbombava tra cave calcaree e faceva fremere i colli delle bestiole accostate ai dolci specchi d'acqua, rimasugli di un'età dell'oro mai dimenticata, oppure immerse come mandorle nel miele, piccole gocce elettriche nella vampa solare.
Il movimento pesante da mammuth appena svegliatosi dall'ibernamento passato in granita al gelso, premeva e sbatteva come contro l'inefficienza di un piccolo ufficio postale stantio tanto che la priorità pareva essere solo una vorticosa presa in giro, per poi ritirarsi sulla propria zanna, gengivite inadatta a qualsiasi moderna cura.
Lo guardavano così impantanato friggere e trasformarsi in statua di lava.
Lo sgretolamento avvenne in un lampo di pupilla e il calore lo rese malleabile pasta di cacao alla vaniglia che anestetizzò ogni sua irritabilità irritante e placò quelle parole a singhiozzo che se non eran dardi, piccole meduse che a via di invocarle rompono la pelle appena sfiorata l'ultima onda.
Sulla via del ritorno la brezza crepuscolare fece scattare la lucertola nell'ennesimo tentativo di fuga tra quei pungiglioni interrogativi ultrarazionali sparati dall'insetto e le perenni fiamme laceranti boschi e genti di una Sicilia oziosamente fremente.
Bucce di limone a spirale intorno alle dita, al contatto con la narice inaspriscono il lucido distacco, fin quasi al punto di benedire l'inspiegabile bisogno di quotidiana dose di disagio.


Sicilia e Parma, luglio-agosto 2007

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