Dieci giugno e
ancora vene
che mi fan male, e
ho fremiti
lungo le linee
della notte
e quante poesie ti
ho scritto
finora, forse
belle, forse marce,
e sai, son cattivo
anche se ti amo
imprigionato come
sono
nella mia gabbia,
con questo bisogno
di urlare ogni
tanto e scappare
in universi
soffici e sbranarti
a colpi di corpo
su corpo, ma poi
chiudo gli occhi e
ti vedo
intenta a
sbocciare e temo
che basti un mio
gesto incontrollato
a spezzarti il
fiato, ma domani
sarai ancora più
forte a guidar
giochi e voci
stridenti, tu, guance
infinite, certo la
fatica, il saper
scegliere, tu
certo l'estate
e io così a
deporre penne
e lanciare me
stesso
che se anche do
poco a vedere
ai confini dei
campi ci raccogliamo.
Parma, 10 giugno
2019
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